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Aumentare l’età pensionabile è un costo per il Paese

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Aumentare l’età pensionabile ha due effetti molto ovvi: il primo è che toglie lavoro ai più giovani; il secondo è che riduce la produttività dell’economia. Queste due ovvie conclusioni sembrano essere incomprensibili per molti economisti, ma è esattamente ciò che sta succedendo.

Sul primo punto abbiamo già scritto in passato e l’argomento è molto semplice: aumentare l’età pensionabile non fa altro che ridistribuire il lavoro esistente, il quale dipende dalla domanda aggregata attesa dalle imprese. Quindi se si aumenta l’età pensionabile, a parità di altri fattori, un anziano rimarrà al lavoro e un giovane non troverà occupazione. Cosa che sta accadendo proprio in questi anni.

EDIT: l’economista Tito Boeri (tra l’altro presidente dell’Inps) ha pubblicato solo pochi giorni fa un paper sull’argomento:

Nel complesso [in Italia], per una perdita totale di 150 mila posti di lavoro dei giovani, 36 mila perdite possono essere attribuite alla riforma [Fornero del 2011].

Il secondo punto è anch’esso abbastanza intuitivo. Un anziano avrà mediamente più difficoltà di un giovane ad adattarsi ai cambiamenti, a lavorare più ore se richiesto, ad imparare cose nuove, ecc.  Gli anziani al lavoro, insomma, sono nella maggioranza dei casi un peso per le imprese. E una nota ricerca dice che già dopo i 40 anni la nostra produttività crolla e dovremmo riposare 4 giorni a settimana per essere più produttivi negli altri tre giorni.

Del problema si è accorto anche il Fondo Monetario Internazionale, che ha pubblicato un’interessante ricerca in proposito, dalla quale emerge che l’area euro è l’economia più soggetta a precoce invecchiamento della forza lavoro e, associata ad essa, un rallentamento più marcato del tasso di crescita della produttività e del PIL. 

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Secondo i calcoli degli economisti del FMI l’invecchiamento della forza lavoro costa un quinto della produttività potenziale nell’area euro. Molto peggio per l’Italia che perde più di un terzo e per la Grecia che perde circa la metà della crescita potenziale della produttività. Male anche la Spagna.

Per qualche strana ragione (siamo ironici ovviamente) il FMI evita di dire che sarebbe il caso di mandare gli anziani in pensione e a far giocare i nipotini al parco. Le soluzioni proposte sono investimenti in istruzione e salute. Ben vengano, ma sarà difficile far usare ad un 75enne l’ultimo modello di smartphone o tablet con la stessa efficienza di un nativo digitale, per quanti corsi di aggiornamento si possano immaginare.

Il problema della bassa crescita, inoltre, si ripercuote sulla stessa tenuta dei sistemi pensionistici. Meno crescita, redditi più bassi, più disoccupazione, risultano in un minore gettito contributivo. 

Riassumiamo: con l’argomento della insostenibilità del sistema previdenziale, a causa dell’aumento della vita media, si incrementa l’età pensionabile, costringendo milioni di persone a lavorare fino a 70 anni e anche oltre. In questo modo si lasciano a casa milioni di giovani che sarebbero ben disposti a prendere il posto dei loro padri (e fra poco pure dei nonni…). Ma poiché gli anziani sono relativamente meno produttivi, la crescita è a rischio e, con essa, lo stesso sistema previdenziale.

L’ennesimo esempio di politica controproducente che costerà reddito e benessere per milioni di persone, salvo poi qualche mea culpa tra vent’anni quando ormai sarà troppo tardi.

 

 

 


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